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Alle origini del Male: la figura “diabolica” nelle culture pre-cristiane

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Alle origini del Male: la figura “diabolica” nelle culture pre-cristiane Empty Alle origini del Male: la figura “diabolica” nelle culture pre-cristiane

Messaggio Da Angelodiluce Dom Lug 25, 2010 7:02 pm

La cultura moderna, in particolare con la diffusione del genere horror, sia letterario che cinematografico, ha avuto certamente un impatto profondissimo nella nostra percezione dei fenomeni spirituali, portando alla tendenza a banalizzare elementi tematici di natura profondissima quali quelli legati alla percezione del male manifestata attraverso la sua personificazione nella figura archetipica del “diavolo”, o (e si tratta, in realtà, dell’altra faccia della stessa medaglia) a vederne l’insorgenza ad ogni passo, finendo, a volte, per sviluppare cliché ai limiti del ridicolo.

Sostanzialmente, il nucleo centrale del mitologema (e si usa questo termine semplicemente dal punto di vista scientifico, senza alcuna implicazione teologica o giudizio di valore) demoniaco risiede psicologicamente, secondo Jung [1], nella connaturata paura dell’ignoto che da sempre caratterizza l’essere umano, ma non è da un punto di vista psicanalitico che si vuole, in questa sede, affrontare il tema, bensì attraverso un’analisi storica del soggetto, dalla quale è possibile rendersi conto di come, in altre epoche e fin dall’origine dell’umanità, il tema del Male, nella sua individuazione attraverso la figura del “diavolo” sia sempre stato centrale ed abbia avuto ben diversa pregnanza in numerosissime culture (incluse quelle più avanzate) rispetto a quella odierna.

Di fatto, la “divinità malvagia” che noi conosciamo come diavolo non è una figura universalmente diffusa [2], ma alcune sue caratteristiche sono riscontrabili negli dei di pressoché ogni religione, con affinità che vanno dalla raffigurazione iconografica alla funzione negatrice della/delle divinità positive.

Se facciamo nostra la definizione, per altro piuttosto vaga, di demone come “spirito malvagio che infliggi volontariamente dolore agli esseri umani” [3], possiamo tranquillamente affermare che rappresentazioni di questo genere siano riconoscibili da sempre in ogni pantheon: nelle cosiddette religioni “primitive” esse sono manifestazioni moralmente neutre della realtà effettuale, cosicché nei sistemi politeistici è interessante notare come anche gli dei più potenti risultino sempre subordinati ad un principio divino di ambivalenza di stampo fortemente antropomorfico [4].

Così, spesso vi è ben poca differenza tra dei “buoni” e dei “cattivi”, o meglio, ogni divinità si dimostra capace di sviluppare azioni positive o negative a seconda delle occasioni. Questa ambivalenza morale dà conto dell’esistenza del bene e del male senza per questo chiamare in causa alcun scisma celeste ed alcuna posizione predefinita ed eticamente statica. Ciò risulta evidente nelle società preletterarie di tutti i continenti, tendenti ad un panismo assoluto e strutturalmente legate ai cicli naturali.

Anche allorquando si sviluppano linee di demarcazione più decise tra i due campi, questo dipende normalmente da sommovimenti politici, come ben spiegato da Margaret Murray:

L’idea di una scissione del Potere Superiore in due parti, una buona e l’altra cattiva, è tipico di un sistema religioso avanzato e sofisticato. Nei culti più primitivi, la divinità è di per sé creatrice di tutto, quindi sia di ciò che è buono che di ciò che è cattivo. Il monoteismo delle prime forme religiose è molto marcato, con ogni piccolo insediamento o gruppo di insediamenti che ha una sua propria divinità, maschile o femminile, il cui potere si definisce come “confinante” con quello dei suoi adoratori. Sembra chiaro che il politeismo si sia sviluppato con l’amalgamarsi di tribù diverse, ciascuna dotata di una propria divinità. Quando una tribù la cui divinità è maschile si unisce a una tribù la cui divinità è femminile, l’unione dei due popoli viene simbolizzata dal matrimonio delle loro divinità. Quando attraverso una infiltrazione pacifica un nuovo dio prende il posto di uno vecchio, il primo viene definito figlio del secondo. Ma quando l’invasione è di tipo bellicoso, la divinità conquistatrice viene investita di tutti gli attributi positivi, mentre il dio dei vinti assume una posizione di inferiorità e viene spesso visto dai conquistatori come apportatore di male e, conseguentemente, spesso temuto anche più della divinità “legittima” dei vincitori. Nell’antico Egitto, la caduta dalla posizione di dio supremo a quella di ‘diavolo’ è ben esemplificata dal dio Setekh (o Seth), che, anticamente, era un apportatore di elementi positivi esattamente quanto Osiride, ma, in seguito, divenne così esecrato che, al di fuori della città a lui dedicata, il suo nome e la sua immagine erano rigorosamente proibite” [5].

Insomma, sostanzialmente, quando le genti dell’arido Alto Egitto, che veneravano Seth, furono unite con le popolazioni meridionali, ben più ricche grazie alle innondazioni del Nilo e adoratrici di Osiride e Horus, divenne necessaria una risoluzione “politica” del conflitto religioso che poteva sorgere: in un primo tempo, in alcune località si arrivò addirittura a pensare a divinità gemelle (Horus e Seth), raffigurate attraverso una figura bicefala, ma, col tempo, Seth divenne, a livello popolare, il dio malvagio e perdente [6] (pur rimanendo, ad un livello di religiosità superiore, rappresentazione concreta di un principio divino monoteistico), prefigurando, attraverso una mitologia in cui si esaltava il conflitto tra bene e male, sistemi religiosi dualistici posteriori.

Qualcosa di molto simile deve essere accaduto, sebbene in forma più fluida ed in dimensioni molto superiori per numero di tribù “inglobate” anche in Assiria. Da numerosi testi cuneiformi appare evidente che, di fianco ad un culto pubblico ed ufficiale dei “dodici grandi dei” e delle loro divinità subordinate, sussisteva, come comprovato anche dal ritrovamento di una quantità enorme di amuleti e talismani, una ricchissima demonologia: al di sotto degli dei viveva, secondo la concezione magico-religiosa del “popolo di Assur”, una schiera di spiriti, alcuni buoni e benefici, altri malvagi e pericolosi, descritti con un metodo ed una precisione tale che risulta quasi impossibile non creare un parallelo con le successive schiere angeliche ebraico-cristiane.

L’antichità e l’importanza della “religione segreta” magistico-demoniaca per gli Assiri possono ben essere comprese dal fatto che, per ordine del re Assurbanipal, gli scribi di palazzo fecero numerose copie di un grande testo magico conservato dalle epoche più remote della scuola sacra di Erech in Caldea [7]: si tratta di un’opera in tre libri, il primo dei quali e interamente dedicato a incantesimi, scongiuri e imprecazione contro gli spiriti malvagi, ciascuno dei quali ha una sua tavoletta d’argilla in cui è minuziosamente descritta la sua azione maligna (“kullulu”), il suo nome (che figura sempre di fianco al temine “udukku”, “spirito”) e come prevenire la sua influenza. Una categoria particolare di spiriti erano poi i “sedu”, entità per lo più positive, raffigurate come uomini con la testa di toro (e di tali raffigurazioni se ne possono trovare ancora a decine tra i monumenti assiri pervenutici): probabilmente da una storpiatura del termine “sedu” deriva la parola ebrea “demon” (che nella cultura soggiogata ebraica assume una connotazione negativa) e la tipica rappresentazione, giunta fino a noi, del diavolo come un essere con le corna [8].

La ricchezza “demonologica” assira, d’altra parte, derivava direttamente da quella, altrettanto importante, che caratterizzava l’intera area mesopotamica. I Mesopotamici si vedevano come costantemente attaccati dal male, rappresentato da spiriti naturali che impersonificavano il fuoco, le epidemie, le inondazioni, le morti infantili e le malattie e che spesso prendevano le forme di esseri fantastici formati dall’unione di parti degli animali più pericolosi dell’area (scorpioni, serpenti, leoni, aquile, ecc.): ad esempio, Pazuzu, il demone sumero delle malattie poi assurto a grande notorietà grazie all’utilizzo (chiaramente erroneo) fatto della sua immagine come rappresentazione del diavolo nel celebre film “L’Esorcista”, aveva quattro ali, artigli d’aquila e il muso di un leone ruggente.

Il solo modo per difendersi contro questi spiriti maligni era il ricorso alla magia: per questo, ad esempio, ponevano speciali ciotole coperte da potenti scongiuri rivoltate sotto le fondamenta delle loro case, per catturare i demoni ed evitare il loro ingresso nelle abitazioni attraverso il terreno, o le puerpere indossavano particolari amuleti con versi contro demoni specifici che potevano mettere in pericolo la nascita di loro figlio [9].

Risulta piuttosto evidente come, durante il periodo della “cattività babilonese”, gli Ebrei abbiano assorbito molti aspetti della demonologia sumera, inglobandoli nel loro folklore: così, con il passare del tempo, essi hanno fatto propri alcuni aspetti di tale demonologia, come nel caso della “Lilitu” babilonese, la demone che uccideva i bambini appena nati e che provocava polluzioni notturne agli uomini soli, che diventa “Lilith”, la prima moglie di Adamo che rifiuta di obbedire a Dio [10].

Prima di quella ebraica, comunque, la religione che struttura più compiutamente il campo demoniaco è quella mazdeista persiana, legata agli insegnamenti di Zarathustra, l’uomo che, in un periodo non ancora ben chiaro tra 720 e 541 a.C., riceve la “rivelazione” da parte del Dio supremo “Ahura Mazda”. In questa antichissima religione, che sopravvive ancora presso alcune comunità Farsi, si immagina una guerra eterna tra luce e oscurità, bene e male. Di base, tale sistema mitologico era basato sul precedente culto indo-persiano degli “ahura”, entità divine positive da sempre in lotta contro i “daeva”, entità paritetiche negative che si strutturano come veri e propri “diavoli”. E’ interessante notare che tale sistema dualistico-politeistico rivestirà grande interesse per i Greci, con Platone, Aristotele e numerosi altri filosofi che studieranno a fondo il sistema religioso iranico, traendone importanti tratti del loro pensiero, che, in alcuni casi, passeranno al cristianesimo (in particolare alle sue forme “deviazioniste”): ad esempio, il Demiurgo platonico [11], creatore dell’universo ed evidente derivazione mazdeistica, passerà pressoché in toto allo Gnosticismo e ad altre sette considerate eretiche, come falso dio malvagio, creatore del mondo e delle cose materiali (e delle Scritture) e capo della schiera di falsi angeli (quindi demoni) detti “acheronti”. Sostanzialmente, è possibile affermare che ogni sistema dualistico derivi in ultima istanza dal pensiero di Zarathusta, con la sua scissione della concezione di divinità in due principi cosmici assoluti e completamente indipendenti l’uno dall’altro, non onnipotenti ma reciprocamente definentesi per negazione. La grande novità del sistema di Zarathustra sta proprio in questa sorta di lotta cosmica tra un dio buono Ahura Mazda (Ormzad) e un dio crudele, Ahriman (Anro Mainyu), diavolo per eccellenza (Daevanam Daeva), servito da una serie di demoni minori, i cui nomi passeranno, pressoché inalterati, alla mistica ebraica successiva: Azazel, Lilith, Rahab, Leviathan… [12]

Anche la teleologia ebraica risulta debitrice da quella zoroastriana, che vede una lotta finale in cui, nella pienezza dei tempi, il Male verrà, con l’aiuto della partecipazione morale e spirituale degli uomini, definitivamente battuto. Ciò non significa che, dal punto di vista teologico, l’Ebraismo e, in seguito, il Cristianesimo, riprendano pedissequamente le concezioni mazdeistiche (in particolare per quanto riguarda la questione dualistica), ma è impossibile non notare come, anche lasciando da parte una uguale interpretazione della lotta bene-male, i punti di contatto siano notevoli (un esempio per tutti: Zarathustra viene tentato da Ahriman esattamente come Gesù è tentato nel deserto da Satana [13]) e, forse, non sempre legati ad una derivazione diretta.

A questo proposito, risulta molto chiara la provenienza di alcuni elementi della mitologia greca dall’area indo-iranica e il loro successivo passaggio all’interno del corpus demonologico tardo-ebraico e poi cristiano, con figure quali i Titani, Pan, l’Idra e le Sirene che vengono giudaizzati per risultare compatibili con lo stretto monoteismo ebraico o con il debito assolutamente evidente dell’interpretazione enochiana dall’orfismo greco [14].

Tutto ciò è completamente consonante con la storia di un popolo originariamente semi-nomadico che, in quanto tale, era solito entrare in contatto con le culture circonvicine e assorbirne storie e leggende per poi omogeneizzarle all’interno del proprio nucleo religioso e, stante il fatto che l’ebraismo è la religione “Alfa” per le grandi religioni monoteiste, poi passarle al Cristianesimo o all’Islamismo, che, a loro volta, “farcirono” di aneddoti e miti le figure demoniache ricevute.

Qualche esempio riguardante la denominazione ebraico-cristiana della personificazione del Male sarà sufficiente per chiarire il concetto.

Partiamo da uno dei termini più usati per definire il diavolo: Lucifero. Il nome Lucifero deriva dal latino “portatore di luce” e da una divinità latina associata con il pianeta Venere, conosciuto dagli astrologi romani come, appunto, Lucifero prima che Venere, figlia di Giove, fosse promossa da dea della vegetazione a dea dell’amore e della bellezza e il pianeta venisse ridenominato in suo onore. Il pianeta e il dio corrispondente avevano il loro nome dal fatto di essere considerati la stella del mattino, che, con la sua comparsa, annunciava l’approssimarsi dell’alba. Mitologicamente, nel sistema greco-romano, Lucifero era il figlio di Astreo e il padre di Ceice, Dedalo e delle Esperdi e, come divinità, personificava la ricerca della luce, in questo senso spesso associata ad altre divinità consimili, quali Artemide/Diana, Aurora e Ecate. In sé, dunque, la figura non aveva alcuna connotazione negativa e, infatti, anche nel suo inglobamento nel corpus proto ebraico col mome di Shalem, essa mantenne il suo aspetto benefico (tanto che Gerusalemme significa, etimologicamente, “Casa di Shalem”). Solo nel II secolo, con Origene di Alessandria [15], si cominciò ad associare Lucifero con il diavolo (una teoria poi fortemente sostenuta da Agostino di Canterbury nel VII secolo [16]) a causa di un errore di traduzione (il problema nasceva dal fraintendimento di San Girolamo che, nella Vulgata, aveva tradotto il termine “Heylel” – “Venere” come “Lucifero”, associandolo al serpente tentatore dell’Eden) e, in seguito, di una questione politica che, nel IV secolo, vedeva la Chiesa Ortodossa fortemente contrapposta all’eresia “luciferina” del vescovo Lucifero Cagliaritano (perequando Lucifero a Satana, la Chiesa si assicurava che anche l’eresia, detta “luciferina” in realtà solo dal nome del suo fondatore, passasse per “satanica”). Sostanzialmente, dunque, non vi è nulla di biblico nel termine ma, per avvalorare l’identità Lucifero-Satana, nel medioevo si costruì anche una “storia” dell’angelo prediletto cacciato/caduto dal paradiso per essersi ribellato a Dio per superbia, una storia poi passata al patrimonio culturale comune dei cristiani attraverso numerosi passaggi letterari, che vanno da Dante Alighieri a Milton [17].

Il termine più antico per definire l’impersonificazione del Male, “Satana”, è, al contrario, completamente biblico, ma anch’esso ha origine da elementi culturali estranei al nucleo primigenio della cultura semitica. Gli arabi pre-islamici erano tormentati da terribili tempeste di sabbia causate da correnti di aria calda che potevano durare giorni interi e che essi consideravano come manifestazione fisica di uno spirito malvagio chiamato “Al Shairan” o “Saitan”: gli Ebrei, entrando in contatto con gli arabi in un periodo molto remoto, assorbirono tale credenza e la incorporarono nelle scritture, traducendo “Saitan” con “Shatane”, cioè “il nemico”. Bisogna, però, fare attenzione al fatto che, inizialmente, “Satana” stava a significare il nemico interiore, la lotta che ciascun uomo deve sostenere contro le tentazioni dell’anima e che solo in un periodo posteriore si provvide a ridefinire la leggenda sotto l’influenza del manicheismo mazdeista, trasmutando la “tentazione umana” in un essere che concentra in sé tutte le forze dal male e che è responsabile ultimo di ogni peccato registrato nella Torah. Con il passaggio al Cristianesimo, infine, avvenne la formalizzazione definitiva di Satana come lo conosciamo oggi, cioè il padre del Male, continuamente teso a strappare le anime umane a Dio: a questa formalizzazione non è certamente estranea la pretesa della Chiesa di essere l’unico baluardo contro Satana ed è logico che, aumentando a dismisura la valenza negativa ed il potere del “nemico” la Chiesa attuasse, parallelamente, un processo di accestimento del proprio potere “salvifico” e, conseguentemente, del proprio potere socio-politico [18].

Un’altra entità malvagia pre giudeo-cristiana è “Belzebù”, normalmente conosciuto come principe degli spiriti maligni e “braccio destro” di Satana: in questo caso siamo semplicemente di fronte ad un normale processo di inglobamento di una divinità di un popolo vinto, dal momento che Baalzebub era semplicemente una divinità dei Filistei legata al culto di Baal, marchiata con il marchio demoniaco dai sacerdoti del Popolo ebraico vincitore in una guerra di confine [19].

Ma, a ben vedere, anche il termine “demoniaco”, appena utilizzato, ha, derivando da “Demone”, una origine non semitica: se oggi vediamo i demoni come coloro che tormentano i peccatori nell’inferno, in realtà, in origine, essi erano i “Daimon” greci, cioè semplicemente spiriti divini neutrali (“daimon” significa unicamente “potere divino”), passibili di agire rettamente (come “eudaimones”) o con malvagità (come “cacodaimones): solo in un secondo tempo nuclei di ebrei ellenizzati introdussero il termine in ambito biblico, dandone l’interpretazione monodirezionale che conosciamo [20].

Persino, infine, il concetto di “inferno”, comunemente conosciuto come dimora dei diavoli e luogo di dolore eterno per i peccatori ha una origine extra-giudaica. Ancora una volta, l’idea di una localizzazione per le anime dei dannati e di origine persiana, anche se, nell’antica cultura iranica stava ad indicare unicamente il posto in cui avrebbero dimorato … le mogli disobbedienti, ma i termini in cui tale localizzazione è presentata all’interno della cultura ebraica sono ripresi direttamente dall’“Ade” (che, letteralmente, significa “luogo non visto”) greco, in cui gli spiriti dei morti riposano senza che ciò comporti alcun giudizio morale. Gli Ebrei tradussero “Ade” in “Sheol” e, esattamente come i Greci, non caricarono questo luogo di alcun significato positivo o negativo, rendendolo semplicemente il luogo in cui gli spiriti trapassati attendono il giudizio finale: l’immagine popolare di inferno è un prodotto unicamente della cultura cristiana, senza basi scritturali, ma, piuttosto, di nuovo debitore nei confronti di descrizioni letterarie medievali e successive [21].

Insomma, la maggioranza dei miti comuni su tutto ciò che è legato al “diabolico” deriva, nella cultura giudaico-cristiana, da influenze culturali esterne al nucleo religioso fondativo di questa stessa cultura.

Ciò non significa, però, che tutto quello che definiamo come “diabolico” sia solo una pura invenzione. Se forse ha ragione Fëdor Dostoevskij quando afferma: “se il diavolo non esiste, ma l’ha creato l’uomo, credo che egli l’abbia creato a propria immagine e somiglianza” [22], è altrettanto vero che, come scrisse Seneca, “la presenza del Male nel mondo è così evidente da non richiedere alcuna prova per la sua esistenza”[23].
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