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Messaggio Da Angelodiluce Dom Giu 13, 2010 7:24 am

La sostanza primordiale, la cui essenza è il silenzio, quella io sono. Perché prendersi il disturbo di pensare «quello sono io»? La meditazione è quiete; è l'estinzione dell'io; quando l'io è andato, dov'è il posto per il pensiero?
Ramana Maharshi

Circolo vizioso o virtuoso? La metafora del cane, del gatto, del drago o del serpente che rincorrono, mordono o divorano la propria coda allude a un ragionamento o una situazione ripetitivi, se non del tutto sconclusionati. Oppure indica una coazione a ripetere, una compulsione per cui ci si trova a rivivere vicende emotive ricorrenti, ricreando in modo inconscio situazioni molto simili a quelle da cui si voleva sfuggire.

Urovoro (gr. ouroboros) significa, appunto, «che si mangia (-voro, come in divorare) la coda (ouros)». Filosoficamente parlando, l'urovoro rappresenta una tautologia, ossia un sistema le cui conclusioni sono già implicite nelle premesse. Ne sono esempi classici la geometria di Euclide e l'Etica di Spinoza, che proprio a Euclide si ispirò, affascinato dal suo ordine geometrico. Sono tautologie le religioni dogmatiche, in quanto sistemi chiusi a prova di falsificazione, in cui l'urovoro trionfa nella fallacia argomentativa nota col nome di petitio principii: «I Veda sono divini perché sta scritto nei Veda». È un urovoro il mito dell’eterno ritorno di Nietzsche, secondo il quale tutte le cose ritornano eternamente.

È un urovoro, infine, anche la domanda «Chi sono io?», che Bhagavan Ramana Maharshi insegnava come pratica spirituale, in quanto il soggetto e l'oggetto dell'indagine coincidono. Il Maharshi caldeggiava quest'indagine perché la tautologia autoreferenziale ha un potere paradossale detonante che, se innescato, può deflagrare ed estinguere in un sol botto tutto il pensiero ripetivo, automatico e coatto, lasciando dietro di sé solo pura consapevolezza senza sforzo e un organismo biologico perfettamente funzionante, libero dalle distorsioni e interferenze della struttura separativa della mente.
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