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Avanza l’orologio dell’apocalisse
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Avanza l’orologio dell’apocalisse
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ARRIGO LEVI | |
E così, le lancette dell’«Orologio dell’Apocalisse» sono state spostate di nuovo, e nella direzione peggiore: i sette minuti che, dal 2002, secondo il Bollettino degli Scienziati Atomici, separavano il mondo dalla mezzanotte di una catastrofe nucleare, saranno ridotti probabilmente a sei. L’annuncio ufficiale è imminente. L’invenzione dell’Orologio dell’Apocalisse risale al 1947, frutto delle riflessioni di scienziati che avevano partecipato alla costruzione della prima bomba atomica, lanciata su Hiroshima alle 9,15 del 6 agosto 1945. Da allora ad oggi gli spostamenti delle lancette dell’Orologio che anticipa una Apocalisse atomica sono stati 17. Nel 1953, dopo le prime esplosioni di bombe H russe e americane, i minuti erano scesi a due. Poi vennero diversi trattati, fino a quello di Non Proliferazione Nucleare, col quale 183 Paesi hanno rinunciato agli arsenali atomici, e gli scienziati del Bollettino ci concessero un po’ di respiro. Ora tornano a suonare l’allarme, e le cause del nuovo pessimismo sono note: l’entrata della Corea del Nord nel novero dei Paesi con armi nucleari; lo sviluppo di un programma nucleare «pacifico» (ma pochi ci credono) da parte dell’Iran, lo Stato che vuol cancellare Israele dalla faccia della Terra; l’esistenza di grandi quantità di materiale nucleare non ben protetto in Russia e altrove; la convinzione che Al Qaeda cerca di comprare il materiale per farsi almeno una atomica. C’è già stato chi era pronto a venderlo. Nel 1993 un capitano di marina russo, Alexei Tikhomirov, si portò via da un deposito mal custodito presso Murmansk cinque chili di uranio altamente arricchito: cinquanta bastano per una bomba atomica rudimentale, sufficiente per distruggere una qualsiasi delle metropoli del mondo. Fu arrestato otto mesi dopo mentre cercava di vendere il suo bottino per appena 50 mila dollari. Quanto al padre della bomba atomica pakistana, A.Q. Khan, aveva messo in funzione un vero e proprio mercato nero di centrifughe per arricchire l’uranio, che offriva insieme con i progetti per costruirle e la consulenza agli acquirenti. Quanto a trasferire la bomba alla città prescelta, i percorsi possibili sono molti: dalla «borsa delle mazze da golf» nel bagaglio di un elegante gentiluomo, alle vie del contrabbando di stupefacenti. Traggo queste notizie dal saggio di Graham Allison, notissimo studioso di Harvard, che apre il recente rapporto della Commissione Trilaterale sulla proliferazione nucleare. La prefazione di Henry Kissinger, riecheggiando una sentenza di Kofi Annan («Il terrorismo nucleare è spesso trattato come fantascienza; magari lo fosse!»), indica nel terrorismo nucleare «il più grave fra tutti i pericoli per il mondo in cui viviamo». Purtroppo, il principio base della «pace del terrore» (la certezza di una risposta nucleare distruttiva contro chi usi per primo un’arma atomica) non vale per terroristi senza patria, votati al suicidio: sono «undeterrable», dice Carlo Jean nel suo recente saggio su Aspenia, contrapponendo alla «elegante semplicità» del bipolarismo d’un tempo l’attuale quadro geopolitico, «molto più complesso, imprevedibile e instabile». Anche se le previsioni dello storico israeliano Benny Morris, che dà per inevitabile entro alcuni anni un «secondo Olocausto», ossia la distruzione totale d’Israele ad opera dell’Iran di Ahmadinejad, sono fondate su ragionamenti poco convincenti, le argomentazioni di Graham Allison che lo portano a valutare al 50 per cento le probabilità di un attacco terrorista nucleare a una metropoli occidentale entro il prossimo decennio sono molto più credibili. Lo sono un po’ meno le sue ragionevoli ricette per prevenire una simile catastrofe, che richiedono la ferma determinazione delle grandi potenze di agire insieme per impedire ogni nuovo caso di «proliferazione nucleare», a cominciare dall’Iran. Eppure, solo la politica può fermare le lancette dell’Orologio dell’Apocalisse. So bene che la possibilità di un atto di terrorismo nucleare continua a sembrarci fantascienza, e che abbiamo altro per la mente: dalla desertificazione promessa all’Italia da Al Gore, all’innalzamento del livello dei mari che metterebbe sott’acqua tutte le città costiere del mondo; e so che anche questo ci sembra in cuor nostro impossibile. Mentre invece, anche questi sono pericoli reali, evitabili solo con una serie di azioni congiunte di tutti i maggiori Paesi. Le cose da farsi sono note. Ma debbono diventare l’obiettivo prioritario e urgente della grande politica mondiale. Per ora, non lo sono. Oggi i Paesi con armi nucleari sono nove, e quelli che hanno i mezzi per costruirle sono due o tre volte tanto. L’intreccio di equazioni deterrenti, esteso a venti o più Stati nucleari, diventerebbe «tremendamente complicato», dice Kissinger, e «non sarebbe realistico in un mondo siffatto pensare di poter evitare una catastrofe nucleare». Ma anche una sola bomba atomica in mano al terrorismo internazionale basterebbe per mandare all’aria, per molto tempo, ogni sogno di pace e di benessere per tutti. |
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